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Saziare l’insaziato

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Questo nuovo articolo fa parte di un carteggio tra me e il caro amico Andrea Sartori. Avevo soltanto circumnavigato l’iniziale argomento quando, con fare temprato, Andrea è giunto con una delle sue gemme; il lungo, vero saggio epocale: “Quale creatività nella crisi? (Finanza, economia e antropologia nella costellazione contemporanea)”.
Limpida interrogazione da poema filosofico, di cui riporto l’incipit:

“Tra gli anni novanta e l’inizio del duemila, la «creatività» spopolava nelle prassi e nei dibattiti economici. Con diverse variazioni d’accento si riteneva che essa potesse dare un impulso decisivo sia ai profitti, sia alla finanza pubblica. La crisi borsistica, nella misura in cui è preludio di una ancor più grave crisi dell’economia reale, ha messo radicalmente in discussione questo acritico assunto, imponendo a più di un’azienda di rivedere la propria organizzazione interna in funzione del business.
La creatività, mentre tutti invocano regolamentazioni più precise, a partire da quelle preposte all’erogazione dei crediti, è di conseguenza caduta in disgrazia. Tanto più le regole nello scorso decennio erano ritenute soffocanti, quanto più oggi sono ritenute imprescindibili. Non è questo, tuttavia, un atteggiamento altrettanto massimalista di quello precedente? Non occorre forse pensare con maggiore sobrietà ad uno spazio della creatività, che dalla sfera riconosciuta delle istituzioni tragga alimento e stimolo, anziché freno? Ma, così facendo, non bisogna riformulare la creatività in termini di strategia, anziché di tattica a breve termine che aggiri le regole stabilite?”

Ed ecco un dibattito-scontro interiore tra lei e l’altra da sé: due Nine al prezzo di una, coerentemente approdate al fattore economico schizofrenico che le vuole approssimate intorno a un’idea di creatività strategica. Help me! Abbiamo compreso bene?
“Alimento e stimolo” per profitti e profittatori, finanziatori pubblici e privati, banche e business.
Questi creativi al servizio dell’arte finanziaria, con la sua ulteriore crisi in ogni piano dell’esistenza umana, sono realtà raccapriccianti.
La mia strategia, in questo caso, è provocazione pura. In effetti cosa c’entra questo panegirico odisseo con la scrittura, la poesia, le sinergie fra le arti?
Si avverte un bisogno profondissimo di coloro che s’affamano di versi (si contano più di duemila poeti in Italia!, ma sono tutti Poeti?). La poesia diviene “alimento e stimolo”, reazione & relazione dentro la sintesi creativo-sorgiva del nuovo. È il crocevia dei separatismi, l’allontanamento da qualunque forma d’impaludata impotenza, dentro i nostri Tempi & Sistemi coercitivi.
Mercanteggiare la creatività, così come la poesia, significa inabissarsi nell’Ade, decidere un incontro privato – tutto ormai è privatizzazione – con il Tartaro…

Dove crediamo che alberghi la perversione, la pornografia?
Nella contemporaneità.
Da qui, per contrasto e contrappasso, emerge la ricerca insaziabile del sacro, dell’amore, questo affollato viaggio di anime insaziate.
Noi viandanti, viviamo. Siamo vivi se sogniamo di saziare l’insaziato, se ci nutriamo – succhiando mammelle geografiche – Latte, Silenzio e Luce. Viviamo qualora il mappamondo delle Idee non si spenga: pena, una candela nell’oblio.
E se da lontano giungiamo, proseguiremo nel nostro andare.
Come io scrissi già un’altra volta:

“Porto bronzee campane sulla schiena. Balbettano din-don! din-don! din-don! – e intanto il declivio rende incerto il mio vagolare. In questo misero andare incontro un uomo. Come fosse Destino, penso: È il Faust contemporaneo.
L’uomo smuove, importuna il batacchio… Dio, come sono pesanti le campane dell’espiazione!
Piange, non ce la fa. Vuole un greve, bronzeo suono per deporre inferno e rovine.
Ma non c’è Dio che tenga: Faust s’immerge in acque lacrimose. Non deporrà né tenacia, né rovine.
Lo lascio stare, ché non so consolare. Uomo bianco di biacca, sei un blues tristano.
Eppure sviene! All’ultimo rintocco della sera, il nostro povero Faust indossa una nuvola di piaghe.” ¹

E allora… tumulto, combattività, resistenza, sturm und drang quotidiani sommuoveranno i nostri cavalli marini; li vedremo retrocedere di pacatezza qualora la nostra comune speranza non s’inanelli tra fluttuanti giochi perversi (quelli del potere). Il mare si farà calmo nell’incontro tra una goccia e l’altra. Goccia a goccia: distillata acquamarina, purissima, come la vera poesia. Quella immune da mercanzie editoriali, potentati e politica. Crisi economiche, neodepressioni, sniffi di coca.
Se ogni uomo rischia il Faust contemporaneo, il poeta – che sia affermato o no – trova ragione nella visibilità, nel tiro di coca appunto, a scapito del talento o della finalità magistra: l’opera.

“Anche quelli detti i poeti sono dunque dell’altro: dei poveri vermi senza luce” (Guido Ceronetti, Cara incertezza).
I vermi: creature decisamente non rispondenti a un ideale sublime di bellezza, e perché la natura del poeta è non meno legata alla percezione dell’oscurità che della luce.
“Il fine essenziale per un vero artista non è di fare esperienze col suo tafanesco io, ma di dare la gioia esprimendo la pena di tutti” (id.)
Non è affatto semplice. Le nostre esistenze vivono il barometro della decadenza, umanamente infragilite da questo mondo sghembo e malaccorto. Dobbiamo guarirne: così possiamo. Possiamo tentare di intrecciare altre guarigioni.
I veri insaziati si trovano ingabbiati altrove. Non si trovano nelle copertine stile “Vogue” delle più eleganti riviste di poesia… Quella è la gabbia degli stilismi, o stilemi, andati in putrefazione, come le centinaia di libri, quasi sempre inutili, pubblicati ogni anno.
Ma chi riesce a scrivere una poesia come questa, è Colui che va saziato.

“Da questa giusta parte del torto”

È un incedere
balbuziente.
Un camminare
monco.
Un passo
mutilato.
Comunque sempre troppo corto.
Eppure
sono sempre qui
a trascinarmi il tempo.

Da questa giusta parte del torto.

Ruggero Botto

Botto, già detenuto nella Casa Circondariale di Rebibbia, a Roma, è uscito dal carcere nell’anno 2007 per aver concluso la sua pena.
Aggiungo: la pena di tutti.

Nina Maroccolo

1. verso tratto dal madrigale Molti bambini spersi fra i detriti“, di Cristina Sparagana.

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